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Wednesday, November 22, 2006

Immigra-Nation

Ale Tap, aka Jefferson, indica un saggio riguardo al tema dei temi, quello che determina il futuro dell'Occidente. Non il terrorismo, non il global warming, bensì l'immigrazione.
Il saggio (lungo) su Foreign Affairs è di Tamar Jacoby,
Senior Fellow del Manhattan Institute e autrice di "Reinventing the Melting Pot: The New Immigrants and What It Means to Be American".
Ale mi incalza: vedi, e poi sappimi dire ...
Eccoci qua: in sintesi, premesso che la mia è una critica dichiaratamente da Conservative, diciamo che per molti aspetti non mi ci riconosco.
Parafrasando una vecchia battuta, c'è del bello e del vero in quello che dice la Jacoby; peccato che molto di quello che qui è bello non sia vero e molto di quello che è qui vero non sia bello.
Trovo inoltre che le ricette proposte si basino su dati "forgiati", e siano forse un po' libertarian (anche se non tengono in nessun conto il fatto che gli "individui" immigrati si muovono con logiche di clan e profondamente razziste, piuttosto che individuali), ma sicuramente poco razionali e potenzialmente illiberali.
Entriamo nel merito (lungo).
Parte subito male il saggio, minimizzando: nel mentre ci spiega che negli ultimi tempi il tema immigrazione è salito al primo posto tra i
concern degli americani al pari del terrorismo, afferma che ciò è dovuto soprattutto ai "ricami" dei politici e del mainstream media.
Confutazione numero uno: altro che mainstream media ballooni, cara Ms. Jacoby: "
Every poll shows that over 75 percent of citizens support border security and strict enforcement of our immigration laws." (Sen. Tom Tancredo, R.).
Come si fa poi, mi chiedo, ad avere il coraggio di minimizzare un fenomeno che coinvolge 12-15 milioni di clandestini, crescenti al ritmo di milioni ogni anno...
In tal senso, trovo che i problemi americani siano del tutto assimilabili a quello europei e (futuri prossimi) italiani. Con la differenza a loro vantaggio che tra i loro, almeno non ci sono islamici.

La stessa Ms. Jacoby, alla fine del suo lungo essay, ammette: " Of all the naysayers' concerns, the most serious have to do with assimilation: fears that today's newcomers cannot or will not become Americans".
Il tema è correttamente identificato, peccato che la conclusione riproponga il solito ribaltamento tra oggetto e soggetto dell'assimilazione: "..
such denial (della ineluttabilità del fenomeno, ndr) and the vast illegal world of second-class noncitizens it creates are among the biggest barriers to assimilation today". Tautologico; sarebbe insomma ancora una volta colpa "nostra", come per il Colonialismo etc.etc....
Confutazione numero due: molti Latinos in Usa e Islamici in Europa se ne fregano o sono apertamente ostili all'assimilation. Al contrario di italiani polacchi ed ebrei o degli schiavi, arrivati nei secoli scorsi, cui la Jacoby paragona i numeri attuali (alla faccia del minimizzo!), molti dei nuovi arrivati non hanno (più) bisogno di imparare l'inglese e di impegnarsi personalmente nei duri percorsi dell'assimilation individuale: trovano le loro comunità pret-à-porter auto-ghettizzate in loco. Mentalità "buonista" Occidentale e facilità di comunicazione e scambi col proprio "passato" (viaggi back and forth, tv radio musica etc.) fanno il resto, e cambiano drammaticamente scenario rispetto all'immigrazione di fine Otto-primi Novecento.

Il problema c'è, ed è quindi cruciale intervenire rapidamente; anche la saggista riconosce: "There is little doubt that the (immigration) system needs fixing".
Solo che diventa la storia della riforma pensioni in Italia: c'è chi ammette il concern, concede quindi che sia ora di metter le mani alla legislazione in materia, ma finisce per sostenere l'esatto contrario del sentiment al riguardo, "forgiando" i dati e sostenendo che tutto sommato quelli che si preoccupano sono solo i disinformati o i faziosi.
Jacoby infatti riconosce che
"..Many are uneasy about the current influx of foreigners ", ma subito cala il suo asso: " But an overwhelming majority -- between two-thirds and three-quarters in every major poll -- would like to see Congress address the problem with a combination of tougher enforcement and earned citizenship for the estimated 12 million illegal immigrants already living and working here".
Confutazione numero tre
: pur interessante, questo modo "sincretista" di presentare le cose mi puzza .
Davvero
gli Americani, popolo educato ad essere diretto e poco complicato, la vedono così complessa? Sono tranquilli riguardo alle crescenti quote di immigrati e sul concedere una "amnesty for illegals", come vorrebbe Bush, McCain e (metà dei) Democratici? Mi pare piuttosto che si presenti la PROPRIA pur interessante conclusione - la combination -come se fosse un "dato" emergente dai poll...
La risposta più diretta possibile, all'americana: "No survey in 40 years has shown anything like a majority in favor of ... admitting aliens for work visas". (Sam Francis, columnist di TownHall, 2004).

La Jacoby si toglie infine la maschera: dopo aver cantato le lodi di una combination tra misure toste e riconoscimento, ecco come dipinge i favorevoli a un vero
tougher enforcement dei controlli ai confini: "Mostly male, white, and lacking college degrees, these naysayers believe immigrants are bad for the economy...".
Confutazione numero quattro: Ms. Jacoby in questo passaggio ricorda quei sinistri che dipingono i Leghisti come
una banda di ignoranti Redneck per negare ogni legittimità alla questione settentrionale.
Dice anche che questi Naysayers conterebbero "solo" un quarto dell'elettorato Repubblicano (e hai detto fichi) pur rappresentandone la parte "more motivated, more likely to vote"; ma non è finita qui: "solo la metà (di questi naysayers) sono Repubblicani" ... insomma, paiono tanti 'sti naysayers; come cantavano le femministe, sono più della metà ...
Infine, oltre che un filo prevenuta nei giudizi e tendente al ti minimizzo i numeri avversi, la Signora pare ignorare anche che i primi a pagare in modo atroce e subitaneo il dazio più pesante dell'immigrazione clandestina sono le classi
low, lacking of college degrees, in particolare i neri maschi (il 94% degli immigrati è maschio). Cornuti e mazziati insomma.

La saggista si lancia a questo punto nel solito elenco dei falsi miti sull'immigrazione, volta a "dimostrare" che trattasi di evento epocale ineludibile e ineluttabile: demografia, globalizzazione, pianeta più piccolo, lavori che i nostri non vogliono più fare, e tutta la solita pacottiglia politically correct.
Le confutazioni (numero cinque, anche se nel link sono sette) sulla fallacia e pericolosità di queste apparenti banalità predigerite, scontate ed erronee, per chi le desidera sono nel link sopra citato.
Sono molto colpito poi dalla modalità correct con cui la Jacoby descrive il traffico di clandestini: "The market mechanisms that connect U.S. demand with foreign supply, particularly from Latin America, are surprisingly efficient".

Certo, sono sorprendentemente efficienti i legami di clan che stanno emarginando una intera generazione di giovani neri - il cui "clan" è tipicamente composto dalla sola madre - dall'accesso al mondo del lavoro (nel 2000, un maschio nero su dieci negli Usa è stato almeno una volta in carcere!).

A un certo punto, Ms.Jacoby arriva finalmente a farsi alcune domande giuste (dopo quella sulla assimilazione
mission impossible):
"-
Do immigrants lower American wages (..) ?
- Would Americans fill these jobs, at a higher wage, if foreigners were not available?
- Is it only employers who profit from the influx?
- And do the fiscal costs associated with immigration outweigh any macroeconomic benefit?"

Anche se nelle risposte la saggista nega la possibilità di regolamentare i flussi e parla di una impari lotta contro la "realtà", sta di fatto che le successive considerazioni economiche sono la parte più interessante e degna di riflessione di tutto il lungo saggio. Mi ha colpito ad esempio la sua dimostrazione del "non peso" sul sistema fiscale-assistenziale degli immigrati, soprattutto clandestini.
Qui (come nel conteggio del contributo netto degli immigrati all'economa nazionale) la differenza con il caso Europa è enorme, se vogliamo far dei paralleli: in Usa si parte dal presupposto che, per definizione, il sistema "altamente efficiente" dei clan, richiami immigrati "
on demand" e a posto di lavoro assicurato, mentre da noi abbiamo gli sbarchi "push", tutti "supply side".

Confutazione numero sei: Alla finalmente interessante disamina di questa sezione del saggio, mancano a mio avviso un paio di analisi economiche fondamentali e a mio avviso dirimenti:
a) Qual'è l'impatto dell'immigrazione massiva sul costo della vita?
b) Più che farsi la domanda oziosa e capziosa se le aziende assumerebbero "nativi" a paga più alta se non ci fossero immigrati da assumere, quale sarebbe piuttosto la reazione complessiva del sistema industriale e dei servizi alla assenza di lavoratori a basso costo?
Il punto (b) è intuitivo: il sistema produttivo sarebbe inevitabilmente forzato a spostarsi dal "volume" al "valore".
Al contrario, la disponibilità di manodopera a basso costo comporta la sopravvivenza di industrie arretrate, e quindi la surrettizia competizione col sistema industriale di quei Paesi Emergenti o del Terzo Mondo da cui gli immigrati provengono. Il caso è particolarmente evidente nell'agricoltura.
Effetto perverso: più immigrati arrivano, più si compete coi Paesi poveri schiacciandoli (effetto "
learning curve"), più lavoratori da quei Paesi vengono espulsi e quindi immigrano.
Quindi, ogni conteggio del contributo dell'immigrazione al prodotto nazionale dovrebbe tener conto in qualche modo anche di questo effetto di "diminuita produttività".
Per quanto riguarda il punto (a), la risposta banale: "i costi della vita diminuiscono, perchè si pagano meno i lavoratori meno qualificati" si dimostra del tutto erronea.
Scenario: un quartiere di periferia mediamente degradato a qualche anno dall'arrivo di quantità significative di immigrati. L'aumento subitaneo della domanda di alloggi innalza i prezzi degli affitti (esigenze più modeste ma densità più alte), fa decadere le spese di manutenzione, degrada i negozi (minor potere d'acquisto), le scuole (bambini che non sanno la lingua) e i servizi sociali (polizia, servizi sanitari, spazzatura etc. devono far fronte a un rapidamente crescente numero di persone "ineducate", più esposte a incidenti e problemi di salute, con maggiori necessità di assistenza del normale, in un quartiere ad accelerato degrado).
Tralasciamo il caso
dell'installarsi della malavita organizzata nel quartiere (caso europeo ma non solo).
Da un punto di vista socio-economico, gli output sono quattro:
1) maggiori costi per la TUTTA la comunità; si innesta infatti la spirale perversa: più immigrati uguale più tasse locali e minor qualità dei servizi;
2) displacement degli "aborigeni" poveri e medio-bassi, scacciati dalla competizione sul salario, dai costi delle case crescenti a qualità peggiorata e dal livello delle scuole più basso. Un columnist Right, Steve Sailer, denomina (1), (2) assieme al successivo (3) e (4), effetto "Californication";
3) contrazione del classico elettorato
mid-lower class Repubblicano (i Dems. appartengono tipicamente alle higher classes e quelle very low);
4) gli "aborigeni" fanno meno figli, perchè scuole e servizi degradati, pressione fiscale più alta, costi maggiori e salari più bassi, scarse prospettive future: il caso Italia in a
nutshell.
Quindi ci andrei veramente piano prima di parlare di "costo zero" per il sistema dell'impatto immigrazione, anche solo da un punto di vista stettamente economico.

Concludendo per non farla infinitamente lunga (eppure, quante altre ce ne sarebbero da rimarcare! Forse, in un prossimo futuro, vedremo), il saggio di
chiude con un apocalittico:" It does not help to pretend that they (the immigrants, ndr) are not arriving or to fantasize that tough enforcement can undo the laws of supply and demand". Le indiscutibili leggi della scienza economica ... dove l'ho già sentita questa?
Nell'ambito di un saggio denso di melassa
politically correct, pur con qualche buona analisi economica sia pur incompleta, che bisogno c'era del messaggio: "rassegnatevi, sono inarrestabili"? Che è, una sfida?
A proposito di
mission impossible, pare siano riusciti a salvare persino la Fiat; vuoi che, se si vuole veramente, non si riesca a definire una politica che affronti e risolva i due problemi VERI (denatalità Occidentale, sottosviluppo del Terzo Mondo) invece di confondere cause con effetti, incapacità di governo con ineluttabilità, e provocare così danni irreversibili all'ecosistema socio-economico Globale?
Se Ms. Jacoby avesse, dico io, approfondito il concetto della
combination tra tougher law enforcement e identificazione di meccanismi premianti per clandestini "virtuosi" e integrabili, magari un sano tradeoff condivisibile si poteva ricavare: nessuno nega che una certa quota di immigrazione "compatibile" sia in sè cosa buona e giusta, anzi...
Invece, tra minacce, dati "forgiati" a uso e consumo della sua parte e dichiarazioni pro
amnesty non esplicite, questo saggio con tutte le sue ambiguità porta acqua al mulino dei segregazionisti Amerikani più duri e puri.
Del resto, la Jacoby si dichiarava già dal sommario del saggio: "Bush has the right idea on immigration — but needs to open the doors further and let more in". Per fortuna glie l'hanno fatta cambiare, pare, per adesso, l'idea a Bush. ("..cracking down on illegal immigration would be political suicide for Republicans
..").

16 Comments:

Blogger Libertyfirst said...

Cinque cose.

1. Il fatto che i servizi peggiorino e siano più costosi è legato al fatto che sono socializzati. Se non ci fossero estenralità di origine politica, cioè se non ci fosse un welfare state di mezzo (federale o locale, come nell'esempio tuo) che sia, prima di decidere di andare negli USA gli immigrati dovrebbero sottrarre al loro reddito i costi dei servizi, e magari molti scoprirebbero che, senza scroccare servizi al cotnribuente, non conviene loro spostarsi.

2. La possibilità di ottenere privilegi e evitare discriminazioni agendo in gruppo stimola lo spirito di segregazione tra gli immigrati. Se non esistesse quel meccanismo costituzionale chiamato democrazia clientelare, l'"autocoscienza sociale" sarebbe inutile.

3. Anche se negli USA il problema è minore, le politiche sociali tendono a togliere il lavoro ai più deboli, tra cui gli immigrati. Che quindi hanno bisogno del "gruppo" per sopravvivere.

4. Con l'economia che cresce del 5% e un afflusso di immigrati del 2% l'anno, dubito che la diminuzione dei bassi salari sia dovuto agli immigrati. Forse il fatto che gli americani non risparmiano nulla da 20 anni è una spiegazione migliore. Un popolo di consumatori che non pensa al futuro, pieno di debiti fino all'inverosimile... se non sapessero anche lavorare (buon per loro), sarebbe da chiamarli debosciati. Ma siccome lavorano, e pure tanto, la parola giusta forse è coglioni. :-D

5. Il circolo vizioso di cui parli non mi convince: da quando in qua lo spostamento di risorse da dove sono poco produttive a dove sono più produttive riduce l'efficienza totale? E' assurdo... O ci perdono solo gli USA, o solo i paesi del Terzo Mondo, o ci guadagnano entrambi... non è possibile che perdano tutti. Per quanto riguarda l'agricoltura, quella forma soft di genocidio che sono le politiche agrarie occidentali sono forse una spiegazione migliore.

22/11/06 4:06 PM  
Blogger Abr said...

Stimolanti, non ritardanti ;-) come sempre, le osservazioni di Liberty.
Come le vedo io:
1). Vero che il fenomeno è accentuato dal welfare (e polizia statuale o locale, in ogni caso pagati dai contribuenti), ma varrebbe anche se i servizi fossero privati.
Se ho un mio centro assistenza, dimensionato per 100 utenti, e nel giro di due anni ne devo servire 1000 più poveri, ammesso e non concesso che abbia i capitali per espandermi, scoprirei con orrore che la propensione alla spesa dei newcomers è inferiore a quelli che se ne vanno, per cui non mi conviene investire per migliorare i servizi.
Quindi: se è privato il servizio degrada più velocemente, se è pubblico, oltre che degradarsi aumentano le tasse. E' il concetto che esprimo nel post citando i negozi.

2. Si, la (auto-)segregazione è un meccanismo perverso che si autorafforza. Il paradosso è che le condizioni al contorno rendono l'autoghettizzazione più "conveniente" che non cento anni fa.

3. Vero. Vedi cosa capita ai disoccupati in Italia. Il mio punto è che negli Usa (e domani in Italia) la categoria più debole NON sono gli immigrati, che si autosostengono mediante meccanismi clanici.
la cosa trascurata da tutti i benpensanti è questa, che le Caritas serviranno più ai "neri" nostrani(? chi saranno?) che non ai Latinos-islamicos.

4. Non dico che i salari (bassi) sono abbassati dal'avvento di immigrati; viceversa, AZIENDE ARRETRATE sono mantente in vita da forza lavoro a costi inferiori.
Questo è un punto particolarmente vero in Italia, dove concerie fonderie e carpenterie, oltre a molto primario e a ampie fette del terziario "labor intensive" (facchinaggi badanti spedizioni etc.), sono tenuti in piedi con l'immigrazione.
Ma forse non ho capito il tuo punto. Risparmio degli americani?
Aspetta un lustro o anche meno e vedrai dove va a finire anche qui da noi il risparmio; aspetta una generazione, e vedrai anche qui quanti saranno in grado di campare sino ai 35 mantenuti dai risparmi/pensioni di mammà, o potranno comprerar casa con la liquidazione di papà ... it's over, finito!
Profetizzo: tra due generazioni riprenderemo a fare figli per farci curare da loro nella vecchiaia, come si faceva prima della Guerra.

5. il punto è fondamentale: la "categoria" da tirare in ballo non è l'efficienza: efficienza sarebbe, come sostengo, che le fonderie e i campi di pomodori vadano in Bangla Desh e che qui si faccia software, biogenetica e micromachinery.
La "categoria" vera che entra n gioco è la concorrenza sleale.
Se coltivo pomodori in Campania (esempio non causale), ipotizziamo che il costo della raccolta sia il 70% del costo del prodotto e il 20% dei costi sia trasporto.
Ergo, se grazie agli immigrati, la raccolta in Campania mi costa più o meno quanto nel Delta del Nilo, li frego: a me il trasporto verso i mercati locali costa meno, in più coltivo pomodori da tre generazioni (learning curve, know how) e anches e in attività basso valore aggiunto conta poco, quel poco mi basta e quindi sono più efficente e li rifrego.
Mettici anche i dazi protezionistici europei, e vinciamo a mani basse.
O meglio, aumento i miei margini, cioè VINCEREI ANCHE IN ASSENZA DI DAZI. Inoltre non sarò mai stimolato a delocalizzare la mia piantagione sul Delta del Nilo, finchè potrò contare su raccoglitori che si muovono loro e vengono da me.

Eco l'effetto perverso: più vengono qui, più espiantano pomodori dal Delta, più impediscono che i NOSTRI capitali vengano investiti in micromachinery invece che in pomodori o fonderie.

22/11/06 7:16 PM  
Blogger etendard said...

OT: ottimo il tuo commento al mio post. Ti ho replicato con una domanda finale. Quando hai tempo, fai un salto da me. Mi piacerebbe conoscere che ne pensi.

Bye, friend

23/11/06 4:12 PM  
Blogger Abr said...

Fatto Hoka tnxs.

23/11/06 7:57 PM  
Anonymous Anonymous said...

L'Italia, soprattutto qui a Parma, produce ottime macchine per la lavorazione del pomodoro e succhi di frutta, che vengono esportate in tutto il mondo. Fino in California.

24/11/06 10:19 AM  
Blogger Abr said...

Tutto il settore delle macchine per il packaging (imbottigliatrici, impacchettatrici etc.), concentrato in Emilia, ci vede protagonisti mondiali.
Un esempio calzante di industria non particolarmente "ricerca-intensive" (è meccanica di precisione spinta) in cui il know how (non la paga in catena di montaggio) fa la differenza. Altro che campi e raccolta.

24/11/06 10:28 AM  
Blogger Abr said...

nb.: a chiarmento del concetto esposto nel commento sopra, distinguo "ricerca" (scarsa nel settore citato) da "sviluppo" (che è invece costante ed esasperato). Ecco perchè siamo leader nel settore e continuiamo ad esserlo.

24/11/06 10:34 AM  
Anonymous Anonymous said...

Abr,
non si può dire che la lettura del saggio che ti ho consigliato non ti abbia appassionato ;)
Purtroppo non ho ancora racimolato il tempo di risponderti compiutamente, spero di riuscirci presto.
Per ora, un telegramma:

1) forse siamo almeno d'accordo sul fatto che il rafforzamento dei confini non è necessariamente antitetico a politiche inclusive sull'immigrazione, e che sostenere che le 2 cose possano anzi essere complementari non è necessariamente uno sbracamento "alla Fini" (a propò: carina la sua ultima uscita sul Corano nelle scuole. Sospetto sottenda il retropensiero che gli immigrati che lo vogliono non intendono restare, ma rincasare a breve. Peccato che questo li renda del tutto non-integrabili, aggravando il problema... chiusa partentesi).

2) La Jacoby potrà non convincerti ma va dato atto che porta argomenti non cazzari ad una tesi interessante. In questo saggio, è vero, non ha approfondito la relazione tra law enforcement e meccanismi premianti per clandestini "virtuosi" e integrabili; ha però scritto in questi anni più di un libro in materia, sospetto che lì abbia approfondito eccome.

3) I sondaggi citati dal sen. Tancredo mi convincono ancor meno di quelli citati dalla Jacobi, non foss'altro per il fatto che il primo è un politico e la seconda una scienziata. Sul punto, comunque, regna il caos:
http://www.mercurynews.com/mld/mercurynews/news/politics/16071390.htm


4) Concordo con quasi tutto quello che ha scritto "libertyfirst";

5) sull'autoghettizzazione e l'integrazione, credo che gli USa abbiano tanto da insegnarci quanto a buone politiche del passato ed errori multiculturalisti nelle politiche più recenti.
Su questo mi permetto di rinviarti ad una cosa che avevo scritto tempo fa:

http://www.radicali.it/newsletter/view.php?id=40293&numero=1151&title=NOTIZIE%20RADICALI

Ciao
Ale

24/11/06 5:41 PM  
Blogger Abr said...

Ale,
ringraziandoti nuovamente per la segnalazione, te l'avevo pur detto che sull'argomento so' agguerrito ;-)
Alla faccia del telegramma, sei anche tu come me affetto da orchite scribacchina! Ma ci sta, non scehrzo quando credo che sia l'argomento esiziale per la sopravvivenza della civiltà (occidentale=liberale e democratica) nel Pianeta.
Nel merito:
1. certo che siamo d'accordo, non credo agli aut aut per ragione sociale (ne quid nimis ...).
Fini, come Bush, è solo tattico: crede poverino di guadagnarsi credito presso il nuovo bacino elettorale delgi immigrati legalizzati, che dovrebbero secondo lui portargli riconoscenza.
La definirei "SINDROME TREMAGLIA".

2.Riconosco la non cazzarità delgi argomenti della Jacoby. SOlo ceh mi scivola nel politiclly correct. In partocolare, due cose non posso soffrire :
a) tentare di dimostrarmi l'ineluttabilità del fenomeno: come Chamberlain, il nazismo esiste e non ci possiamo far nulla;
b) invertire l'ordine dei fattori: i problemi sono denatalità e sviluppo del Terzo Mondo, l'immigrazione è un effetto della mancata regolazione dei primi, e non una soluzione in cerca di un problema.
In più, la Jacoby qui prima parla di "combination", poi dà dell'ignorante a chi sostenga metà della sua equazione. Tsk tsk ...

3) Mai fidarsi dei politici è vero, ma anche certi "esperti" alla Padoa Schioppa ... mioddio! Sul caos concordo, ma non si può negare il concern dell'opinione pubblica americana sul fenomeno, che è lo stesso che cresce anche in Europa tra la gente, (tu citi articoli, io ti dico: vai in un mercato rionale e ascolta), nonostante l'enfasi che il MSM continua a mettere su Iraq e altre cose lontane lontane.

4. Anch'io non sono certo distante da Liberty, puntualizzazioni a parte.

5. Leggerò con interesse. Purtroppo, le condizioni al contorno sono profondamete cambiate rispetto al passato (autocito il mio passaggio sull'assimlation).

Grazie per lo "stimolo" e il commento.

24/11/06 8:45 PM  
Blogger Abr said...

..e dimenticavo, l'aspetto politico-partitico-tattico:
"..cracking down on illegal immigration would be political suicide for Republicans..".
Bush forse ha capito (ma a lui non gli frega più di tanto), McCain è avvvisato; Fini invece lo lasciamo alla sua irrecuperabile sindrome Tremaglia.

24/11/06 9:09 PM  
Blogger Abr said...

Ale., ho letto il tuo "E se qualcuno rispondesse a Pera che proprio il "meticciato" è l'antitesi del vecchio multiculturalismo?"
Per me, il presupposto su cui si regge la tua pur interessante controanalisi, cioè che meticciarsi sia (l'unica) alternativa al multi-culturizzarsi, è erronea.

Tanto per cominciare, la genetica NON dimostra per niente the power and the beauty of ibridazione, ANZI! (il tema, un altro che mi sta molto a cuore, è OT, ma lo affronterò prima o poi).

Prima di analizzare la fallacia (a mio avviso ovviamente) della contrapposizione, la premessa esiziale: perchè ragionate tutti (Pera incluso) come se l'immigrazione MASSIVA (e non "a goccia", compatibile) fosse un fatto ineluttabile, per cui diviene necessario chiedersi come gestirla?
Guardate, e non mi stancherò mai di ripeterlo, che l'immigrazione (ripeto, MASSIVA) è un EFFETTO (di denatalità Occ. e depressione del TM) non una CAUSA.
Magari, se si investissero gli stessi cervelli e risorse sprecati su quel tema per por rimedio alle due cause vere ...

Ciò detto, non c'è fortunatamente solo l'alternativa secca "Ghetti autoreferenti" o "TigerWood-izzazione dell'Umanità (che a quel punto dovrebbe e potrebbe essere omogeneizzata, uniformata e "educata" al civismo e alla democrazia .. brrr, altro che Pera!! Questo sì suona da nazismo).

C'è anche il DISCONNECT come terza via. Per dirla alla Leghista: ognuno padrone a casa sua.
Che è l'opzione più liberale che c'è, perchè implica migrazioni di INDIVIDUI invece che di CULTURE. Oltre che essere fondata sul Rispetto e la Preservazione della diversity culturale.

La si decanta tanto in ecologia, preservare la diversity OGNUNA NEL SUO AMBITO, vuoi che non valga anche per le culture umane?

24/11/06 9:35 PM  
Anonymous Anonymous said...

Abr, a propò di "denatà Occ."....scusa la (solo apparente) sterzata: tu quanti figli hai (o intendi avere - non conosco la tua età)?

27/11/06 9:35 AM  
Blogger Abr said...

Ahh Ale ecchilallì che arriva la domanda "scorretta" ...

Fa sovvenire la famosa battuta da "Quattro matrimoni e un funerale":
"E come sta quella ragazza con cui stavi a scuola?" chiede Hugh al vecchio compagno ritrovato al matrimonio dopo tanto tempo; questo risponde: "Non è più la mia ragazza"; al che Hugh fa: "meglio così, era un tr..ione che se la faceva con tutti ..", e l'altro: ".. è diventata mia moglie...".

Le gaffe sono in agguato, quando si sfiora il personale, senza aver interessi personali ...

Prima della risposta che comunque ti darò, una autocitazione a premessa:
http://neoquidnimis.blogspot.com/2006/11/sette-falsi-miti-sullimmigrazione.html
"...Chi l'ha detto che i popoli oggettivamente più progrediti, con le donne più emancipate e quindi in teoria le migliori educatrici, non debbano non dico essere i più prolifici in assoluto, ma almeno posizionarsi al tasso medio di sostituzione (2,01 figli per donna in età fertile)?
Perchè tanto ci basterebbe in Occidente; il resto lo fa il crollo della mortalità infantile (non oimè di quella giovanile) e l'aumento della durata media della vita".

E ancora:
"...La prima risposta da dare al rischio cui è sottoposto il nostro welfare system causa declino democrafico è: lasciamo pure che la popolazione del nostro Continente sovrapopolato DECLINI, piuttosto che coprire il problema con emergenze ingestibili ancor più grosse".

Ecco,come contributo personale sono pressocchè "a posto": mi manca 0,1 figli per far raggiungere alla mia consorte il tasso di medio di sostituzione.
E nonostante la mia non più verdissima età, non abbiamo ancora detto stop. Perchè, (ancora autocitazione dallo stesso post):
"C'è forse qualcuno che sostiene che i bambini siano una "cura" meno "bella" da gestire che non gli immigrati?".
Non certo io, e lo dico a tutti: provare per credere ...

Ecco fatto, e ora ti perdonerò per la domanda non solo indiscreta, ma fatta anche al turpe scopo ;-) di appalesare un lack of commitment tra quello che predico e quello che faccio, solo se tu mi dimostri che hai adottato almeno tre bambini extra-comunitari :-D

Ps.: guarda che sono un individualista almeno quanto tu sei un libertario, e contro molti immigrati presi singolarmente non ho nulla da laganrmi, anzi.
La mia è una posizione rigida "pro-scontro di civiltà", nel senso che vorrei dar contezza di quanto siamo immersi tutit, volenti o neolenti, in un conflitto che NON stiamo combattendo e che quindi perderemo. Lo stiamo pperdendo noi liberali: via l'Occidente, via il liberismo, alla faccia dell'export delle democrazie.

27/11/06 5:43 PM  
Anonymous Anonymous said...

Caro Abr, per carità: nessuna gaffe e nessun sospetto di “lack of commitment”. L’ho volutamente “messa sul personale” per un motivo molto banale, ossia perché sono convinto che non abbia senso pensare e parlare di politica se non “mettendola sul personale”. sarò politicamente scorretto, ma me ne frego.
Allora: mi tolgo il cappello di fronte all’intrepido intento tuo e di tua moglie, che è esattamente lo stesso mio e di mia moglie, solo che noi per ora abbiamo concretizzato solo TJ (il secondo/a è già deciso, il terzo chissà, poi basta). Comunque, per non urtare ulteriormente la sensibilità tua e della tua famiglia, mi guardo bene dal chiederti che mestiere fa tua moglie, e mi limito a discettare in termini generali considerando che " le donne più emancipate” nella quasi totalità dei casi sono donne che lavorano. La mia, per dire, fa un mestiere orrendo ed immorale oltre che molto impegnativo (l’avvocato). Scelte del genere impediscono ad una donna di cominciare a metter su prole prima di aver concretizzato un buon titolo di studio e un decente inserimento nel mondo del lavoro. E quindi già si parte tardi. Poi ci sono gli impegni: pochi mestieri consentono ad una donna di crescere più di 2 bimbi. Salvo che non li cresca a cazzo, senza impegnarsi; ma siccome la donna Occidentale oggi è emancipata e quindi (a volte….) anche buona educatrice, privilegia la quantità sulla quantità. Se lavori, un paio di figli li “segui” meglio di cinque: è un fatto. Ecco perché chi come te o come me vive in una coppia aperta ad avere forse persino 3 figli rappresenta “il massimo” della disponibilità a prolificare, per cui, mettendo nel conto anche i casi “medi” e quelli “minimi”, il risultato è che non siamo nella media ma ben al di sopra. La media è più bassa, e io credo sia ineluttabile. Del resto, il crollo della mortalità infantile (una delle grandi conquiste del nostro tempo) ha inevitabilmente modificato non solo le statistiche, ma anche la mentalità, nel senso che ormai da noi quasi tutte le nascite sono pianificate e programmate. E siamo in pochi a programmarne 2-forse-tre. Certo, c’è una componente di molle tendenza a privilegiare l’agio – come del resto c’è in chi mette al mondo non 8 figli bensì 2, e poi li cresce tutti e 2 advanti alla TV per risparmiare fatica. Ma questa è la realtà fisiologicamente nella stragrande maggioranza dei casi, quindi la “normalità”, nel nostro libero e benestante Occidente (lunga vita al). D'altronde, troverei tutto sommato immondo oltre che folle che la gente si mettesse a figliare di più mossa dall’intento di ingaggiare una “guerra culturale”… quindi non vedo grandi credibili cambiamenti all’orizzonte.

27/11/06 7:23 PM  
Blogger Abr said...

Caro Ale, sorry per l'atteggiamento "sospettoso", però un po' di "faccine" per lasciar intendere la scherzosità di fondo anche nell'ambito del discorso serio l'avevo pur messe :-D

La mia non-moglie - la chiamo antiquatamente consorte, perchè mi piace pensare che condividiamo la stessa sorte; odio ideologicamente il termine "compagna", non capisco il senso ontologico dei Pacs, sennò ci sposavamo (vedi quante cose racconto adesso? ;-) lavora come impiegata in una medio-grande azienda di design. Conosco bene comunque il mondo orrendo e immorale degli avvocati, sono cresciuto in (due) famiglie di legulei. Tant'è che sono ingegnere :-D

Dopo il secondo figlio leii ha ottenuto il part time e oggi il suo stipendio serve quasi tutto per coprire i costi di babysitteraggio per la piccola.
Nevertheless, ne faremo un altro, se viene. Poi basta.

Tre sono pochi per alzare la suicida media italica di 0,8 figli per donna? Beh, intanto diamo un contributo, poi la good news è che in Usa e in molti Paesi del Nord Europa, le mamme bianche (soprattutto conservatrici) riprendono a far figli. E' un segnale , la curva si inverte ...
Anche il Nord Italia, al netto delle immigrate, alza (di poco) il tasso di natalità e supera il Sud, che invece piomba nel baratro.
Qualcosa significherà, questa strana analogia tra situazione socio-economica e natalità, non trovi?
Del resto, cos'è un figlio, se non una scommessa sul futuro?

Ciò nonostante, l'Italia rimane l'ultimo Paese come natalità.
Lasciami dire al proposito che trovo autoassolutorio dar la colpa al solo ineluttabile (again) "logorio della vita moderna" per le donne. Nel resto dell'Occidente ce n'è forse di meno?

Lasciami ancora una auto-citazione, stavolta da questo post:
"4) gli "aborigeni" fanno meno figli, perchè scuole e servizi degradati, pressione fiscale più alta, costi maggiori e salari più bassi, scarse prospettive future: IL CASO ITALIA IN A NUTSHELL".

Cioè per me è pienamente colpa della POLITICA e del SINDACATO: credendo di proteggere le donne, le allontanano dalla realizzazione.
Più servizi SELETTIVI di qualità, meno interventi a pioggia; più competizione privata, meno maternity leave e più mobilità del lavoro, meno ingessature per le aziende ad assumere e licenziare.
Le ricette sarebbero sempre quelle, valgono per le mamme come per l'economia.

Si ma tre sono pochi rispetto a cinque?
Attenzione, eccolo qui il trucco, per avere la moglie piena e la botte ubriaca: nè a noi nè all'Occidente ne servono di più, soprattutto in questa sovrapopolata Europa.

"... il resto lo fa il crollo della mortalità infantile .. e l'aumento della durata media della vita".

Io la vedo così. Sbaglio? So' semplicistico?
Preferisco pensare di essere "straight to the point".
Senza razzismi, l'immigrazione per me è una soluzione in cerca di un problema, che a sua volta serve per mascherare il due veri problemi.
Che sono
1) parte dell'occidente che ha tutto l'interesse a competere e a non far crescere il TM, e
2) una classe politica miope (la stessa che agevola il punto precedente) che toglie alla gente la voglia di scommettere sul futuro.
ciao, Abr

27/11/06 8:15 PM  
Blogger Abr said...

Ah dimenticavo n paio di spunti interessanti:
- la mia esperienza è che coi figli conta più che la quantità la qualità del tempo che ci spendi. Banale ma vero; ecco perchè non vedo problemi a metterne al mondo più, e continuare a provare ad affermarsi porfessionalmente.
- più complesso per lei, ammetto; ma vuoi mettere "avere la scusa"?
Se non ce la fai ad affermarti, puoi sempre dire che ti realizzi in famiglia; sempre meglio che prendersi l'ennesimo brevetto di parapendio, non trovi?
- life is competition: figliare non si fa per combattere guerre, culturali o meno nè dar figli ala Patria; si fa perchè si decide di scommettere sul futuro, prolungando l apropria vita oltre se stessi. Io non prolugherei mai
me stesso in un mondo eurabico fatto di chador pe rlei e bullismo machista per lui; questione di gusti.

27/11/06 8:25 PM  

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